No alla cura dell' anoressia con le maniere forti, ovvero col ricovero coatto dei pazienti che, il piu' delle volte, sono giovanissime ragazze.
La Cassazione ha infatti confermato l'assoluzione - dall' accusa di aver omesso gli adeguati interventi terapeutici - di Silvia C., psichiatra dell' ospedale S.Luca di Milano, finita sotto processo perche' aveva dimesso dal ricovero, prescrivendole una cura farmacologica, una adolescente di 16 anni che rifiutava il cibo. In pratica, la dottoressa aveva concordato, con la giovane afflitta da anoressia, l'uscita dall' ospedale, a condizione che seguisse la cura e si ripresentasse puntualmente alle date fissate per i controlli.
Solo che la paziente, tre giorni dopo essersi presentata al prescritto controllo - nel quale la sua situazione fu segnalata come ''stabile'' - peggioro' notevolmente: segui' un nuovo immediato ricovero al S.Luca, con successivo trasferimento all' ospedale Niguarda, per il ''trattamento sanitario obbligatorio''.
Ma le flebo furono inutili e la ragazzina mori'.
In primo grado, la psichiatra fu giudicata colpevole del decesso per ''una serie di comportamenti, sostanzialmente riportabili all' omissione di un adeguato intervento terapeutico, che nel loro insieme avevano quanto meno accelerato la produzione delle condizioni che hanno determinato l'evento infausto''.
In pratica, ad avviso del tribunale di Milano, la dottoressa non avrebbe dovuto dimettere la ragazzina e usare l'approccio 'dolce' con il suo male.
Questo verdetto, pero', non fu condiviso dalla Corte d'appello.
I magistrati di secondo grado, invece, assolsero l'imputata - il 14 marzo 2002 - con la formula ''perche' il fatto non costituisce reato, non ravvisando nel comportamento del medico elementi di colpa''.
Osservava la corte milanese che ''in relazione alla gravita' del caso ed alla peculiarita' della malattia, le 'dimissioni patteggiate' non potevano qualificarsi come frutto di negligenza, bensi' rientravano in un approccio terapeutico, da ritenersi valido, volto a coinvolgere la paziente, guadagnandone la fiducia.
La corte di appello non mancava inoltre di sottolineare come, quando si parla di anoressia, sia ''assai problematico'' individuare le ''regole'' alle quali il sanitario deve attenersi.
Contro l'assoluzione, la Procura di Milano ha protestato in Cassazione, ma i supremi giudici hanno respinto il ricorso, definendolo - con la sentenza 27956, della IV sezione penale - ''inammissibile'' in quanto il pubblico ministero non ha dimostrato che ''l'evento infausto verificatosi possa essere riconducibile al comportamento del medico''.
In sintesi il ricorso della procura non aveva affrontato ''il nesso di causalita''' tra le 'dimissioni pattegiate' e la morte della giovane.
Per l'inammissibilita' del ricorso, si era espresso anche il sostituto procuratore generale della Cassazione, Anna Maria De Sandro. (ANSA).
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